La prossima frontiera dell'mRna è la riparazione degli organi
Un gruppo di ricercatori sta testando una terapia a base di Rna messaggero per ripristinare fegati danneggiati e ridurre il numero di pazienti che necessitano di un trapianto
In un giovedì pomeriggio come tanti, Lanuza Faccioli e Zhiping Hu escono dalla sala operatoria di un ospedale del centro di Pittsburgh portando con loro un'anonima borsa di plastica bianca e nera. All’interno c’è un fegato malconcio appena rimosso da un uomo di 47 anni, che si sta sottoponendo a un trapianto per ricevere un nuovo organo.
Forse però esiste un'altra via per questi pazienti. Faccioli e Hu fanno parte di un’équipe dell’Università di Pittsburgh guidata da Alejandro Soto-Gutiérrez, che sta cercando un modo per ripristinare organi gravemente danneggiati – non solo il fegato, ma anche i reni, il cuore e i polmoni – grazie all’Rna messaggero (mRna), la stessa tecnologia usata in alcuni vaccini per il Covid-19.
Riprogrammare il fegato
L'obiettivo è quello di “riprogrammare” gli organi malati per far sì che tornino a funzionare. Data la scarsa disponibilità di donatori di fegato, il team ritiene che un trattamento a base di mRna potrebbe un giorno rappresentare un'alternativa al trapianto. L'anno prossimo i ricercatori prevedono di avviare una sperimentazione clinica su persone con malattie epatiche in fase terminale.
Con il tempo, l'abuso di alcol, le epatiti e l'accumulo di grasso nel fegato possono provocare lesioni all’organo. In casi particolarmente gravi, il fegato inizia a cedere: “Attualmente una malattia epatica allo stadio terminale è considerata irreversibile – afferma Soto-Gutiérrez –. Ma noi abbiamo scoperto che non è vero. È reversibile”.
Soto-Gutiérrez e il suo team hanno condotto diversi esperimenti su topi e organi prelevati da persone che hanno ricevuto un trapianto presso l'University of Pittsburgh Medical Center (Upmc), uno dei centri più importanti degli Stati Uniti per i trapianti. Per riuscire a progettare farmaci a base di mRna e capire come indirizzarne l’effetto al fegato umano, i ricercatori hanno collaborato con Drew Weissman, medico e immunologo dell'Università della Pennsylvania, che ha vinto il premio Nobel 2023 per la medicina grazie proprio al suo lavoro pionieristico sull'Rna messaggero. Soto-Gutiérrez e Weissman dirigono insieme il Center for Transcriptional Medicine, fondato con l’obiettivo di rendere questi farmaci accessibili ai pazienti.
Durante la mia visita al Centro, ho seguito Faccioli e Hu in un labirinto di corridoi fino al laboratorio dove i ricercatori hanno portato il fegato appena espiantato dal paziente che doveva ricevere il trapianto. Dopo aver trattato l’organo con una terapia sperimentale a base di mRna, lo hanno immerso in una speciale soluzione a base di ossigeno per mantenerne la funzionalità per diversi giorni.
Un fegato sano ha una consistenza liscia e spugnosa e un colore marrone-rossastro. L’organo danneggiato appariva invece duro, marmorizzato e ricoperto di protuberanze che indicavano la presenza di cirrosi epatica allo stadio terminale. Nel corso del tempo, le cellule sane del fegato dell'uomo erano state sostituite da tessuto cicatriziale. Alla fine, l’organo aveva smesso di funzionare ed è stato necessario sostituirlo con uno nuovo.
Il fegato è il secondo organo più richiesto. Nel 2023, negli Stati Uniti è stato raggiunto il record di 10.660 trapianti di fegato, grazie anche alla costante crescita del numero di donatori. Ciononostante, non tutti coloro che hanno bisogno di un fegato nuovo riescono a ottenerlo, perché molti pazienti non sono idonei a un trapianto a causa di problemi di salute e rischiano di morire mentre si trovano ancora in lista d’attesa. Nel 2022, l'ultimo anno per il quale sono disponibili dati, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie americani hanno registrato quasi 55mila decessi dovuti a malattie epatiche croniche.
I trapianti da donatori vivi sono possibili grazie alla capacità del fegato di rigenerarsi più di qualsiasi altro organo del corpo. In una persona sana, il fegato può ricrescere fino a raggiungere le sue dimensioni normali anche dopo l'asportazione del 90% del suo volume. Ma le conseguenze di alcune malattie e di alcuni fattori legati allo stile di vita possono causare danni permanenti, impedendogli di ripararsi.
Lo studio
Quando Soto-Gutiérrez studiava medicina all'Università di Guadalajara in Messico, suo zio morì a causa di una malattia epatica. Da quel momento in poi, il ricercatore si dedicò all'ideazione di un trattamento che potesse salvare altri pazienti nelle stesse condizioni. Si accorse ben presto che mentre alcuni pazienti con il fegato lesionato erano costretti su un letto d'ospedale in attesa di un trapianto, altre persone affette da cirrosi riuscivano a camminare e a vivere una vita apparentemente normale. Ipotizzò quindi l’esistenza di alcune differenze a livello cellulare in grado di influenzare il funzionamento dell’organo.
Successivamente Soto-Gutiérrez ha collaborato con Ira Fox, chirurgo dello Upmc specializzato in trapianti, per individuare i fattori di trascrizione – proteine che regolano la trascrizione dei geni contenuti nel dna – potenzialmente legati alla rigenerazione degli organi danneggiati. Insieme, i due hanno analizzato più di 400 fegati danneggiati provenienti da pazienti sottoposti a trapianto. Li hanno poi confrontati con decine di organi di donatori sani, individuando otto fattori di trascrizione essenziali per lo sviluppo e il funzionamento dell’organo.
Soto-Gutiérrez e Fox ne hanno isolato uno in particolare, chiamato Hnf4a, che sembra svolgere una funzione di “controllo”, regolando gran parte dell'espressione genica nelle cellule del fegato. Nelle cellule epatiche sane, i livelli di Hnf4a – così come quelli di altre proteine – erano elevati. Al contrario, nei fegati cirrotici la proteina risultava quasi inesistente.
A quel punto l'obiettivo era quello di trovare un modo per reintrodurre il fattore di trascrizione nelle cellule dei fegati danneggiati attraverso l'mRna. L'Rna messaggero è una molecola che trasporta le istruzioni per la produzione di proteine, compresi i fattori di trascrizione. Nei vaccini anti-Covid, l'mRna codifica per una parte del virus, nota come proteina spike. Quando viene iniettato nel braccio di una persona, entra nelle cellule e innesca la produzione di proteine spike, che l’organismo riconosce come estranee generando gli anticorpi necessari per difendersi.
I ricercatori dell’Università di Pittsburgh tuttavia stanno cercando di utilizzare l'mRna per “riportare indietro il tempo” negli organi danneggiati. “Vogliamo utilizzare l'mRna per formare proteine in grado di riparare le cellule epatiche danneggiate – racconta Weissman –. La nostra speranza è quella di riuscire a trattare le malattie epatiche in fase terminale ripristinando il corretto funzionamento del fegato a tempo indeterminato, o almeno fino a quando i pazienti non potranno sottoporsi al trapianto”. In altre parole, lo scopo è quello di fornire all’organismo le istruzioni per la produzione del fattore di trascrizione Hnf4a.
Come viene spiegato in un documento pubblicato nel 2021, l’utilizzo della tecnologia ha ripristinato le funzionalità di alcune cellule epatiche umane in vitro. I ricercatori hanno poi testato la terapia a base di mRna su alcuni topi con cirrosi e insufficienza epatica. Gli animali che hanno ricevuto l'iniezione di Hnf4a hanno ben presto riacquistato le energie, mentre quelli che non erano stati trattati hanno continuato invece a indebolirsi fino alla morte. Alcuni dei topi sottoposti al trattamento erano ancora vivi sei settimane dopo aver ricevuto il farmaco. Va specificato che i risultati dello studio non sono ancora stati pubblicati su una rivista scientifica.
Come ho avuto modo di osservare in prima persona, il team sta anche testando l’effetto della terapia a base di mRna sui fegati umani destinati al trapianto. A differenza dei topi vivi, però, i fegati umani espiantati non possono essere osservati per molto tempo. Gli organi devono essere recuperati rapidamente e trattati con il farmaco a base di mRna subito dopo essere stati rimossi dal corpo del donatore. Si conservano per soli quattro giorni, immersi in un liquido di conservazione.
Sei ore dopo la somministrazione di mRna, i livelli di Hnf4a iniziano a salire e durano per due o tre giorni. Quando la quantità di Hnf4a raggiunge il picco, aumentano i livelli anche di altre proteine epatiche essenziali, come l'albumina. Come spiega Soto-Gutiérrez, si tratta di un risultato importante, perché il mantenimento di questi livelli proteici può fare la differenza tra un paziente che ha bisogno di un trapianto e uno che può sopravvivere senza.
Prossimi passi e prospettive
Secondo Soto-Gutiérrez, idealmente la terapia a base di mRrna potrebbe essere somministrata ai pazienti una volta alla settimana oppure ogni due settimane in una struttura ambulatoriale senza bisogno di ricovero. Inizialmente, però, sarà necessario riservare il trattamento sperimentale a pazienti molto malati che si trovano già in ospedale, per assicurarsi che il metodo sia sicuro. L'équipe sta raccogliendo i dati degli esperimenti sui fegati (sia quelli umani che quelli dei topi) per presentare poi nei prossimi mesi una richiesta di via libera alla sperimentazione clinica alla Food and drug administration statunitense .
Sebbene gli sforzi dei ricercatori siano concentrati principalmente sul ripristino delle funzionalità epatiche, Fox ritiene che il trattamento possa riparare anche altri organi danneggiati: “Ci siamo chiesti se sia possibile innescare lo stesso processo in altri organi”, sottolinea. Attualmente, il team sta cercando di individuare fattori di trascrizione simili per trattare i polmoni danneggiati da broncopneumopatia cronica ostruttiva e le malattie renali croniche.
Secondo Josh Levitsky, specialista in trapianti di fegato della Northwestern University, la ricerca di nuovi trattamenti per le malattie croniche del fegato è fondamentale. Le terapie attualmente disponibili possono aiutare a rallentare l'accumulo di tessuto cicatriziale e ad alleviare i sintomi, ma non risolvono il problema. "La prospettiva di riprogrammare l’organo per ripristinare la funzionalità epatica potrebbe davvero cambiare le carte in tavola, sempre che gli studi clinici diano risultati promettenti”, afferma.
Ma rimangono molti interrogativi. Fino a che punto un tessuto può essere rigenerato? I pazienti dovranno assumere il farmaco a tempo indeterminato o è possibile che i loro organi riacquisiscano la normale funzionalità senza bisogno di terapia costante? Sarà mai possibile ripristinare completamente un fegato? “Si tratta [di una tecnologia] molto promettente – afferma Levitsky –, ma lo sviluppo clinico richiederà molto tempo”.
Fonte: wired.it