Epatite C, i problemi ancora aperti dalla voce dell'associazione pazienti. #EASL2018

Avere i farmaci per curare l'epatite C non vuol dire aver risolto tutti i problemi dei pazienti.
Oggi ci sono diverse difficoltà da affrontare, dai fondi dedicati e non del tutto spesi, alle differenze regionali di accesso alle terapie, ai pazienti che aspettano di essere curati in strutture non autorizzate, ma anche detenuti e consumatori di sostanze. Abbiamo affrontato questi ed altri aspetti con il dr. Marco Bartoli, di EpaC onlus che abbiamo incontrato all'International Liver Congress da poco conclusosi a Parigi.
Circa un mesetto fa è stato pubblicato il report parziale dell’ AIFA in cui viene riepilogata la spesa per i farmaci sostenuta da gennaio a novembre 2017, compresi quelli innovativi.
Da questa analisi risulta che alla fine di ottobre dello scorso anno era stata spesa sola una parte del fondo innovativi, largamente utilizzato per i farmaci anti HCV. Se tale inutilizzo fosse confermato, è bene ricordare che tali risorse andranno restituite alla quota indistinta del FSN (fondo sanitario nazionale).
Il rapporto Osmed chiarirà definitivamente le informazioni preliminari divulgate.
Se l’obiettivo annuale di avviare alla cura 80.000 pazienti stabilito da AIFA non verrà raggiunto e contestualmente non verranno utilizzate tutte le risorse per il 2018, sarà necessario valutare l’origine del problema e soprattutto capire se ciò dipende da carenze amministrative o da altri problemi.
“Al momento attuale sembra che le terapie avviate procedano bene per l’anno 2018; nel primo trimestre 2018 sono state dispensate 18 mila terapie che sono più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2017 e superiori di 8-9 mila unità rispetto al 2016” ha dichiarato Bartoli.
“Lo scorso anno, prima della rimozione delle restrizioni di accesso, in aprile 2017” - ha puntualizzato Bartoli- “il trend era paradossalmente inferiore a quello del 2016. Da maggio si è avuto un incremento che a fine anno era di poco superiore al 2016 (+11 mila terapie).”
Cosa è successo negli ultimi mesi e anni?
Nel 2015 e 2016 era prevedibile un rallentamento delle tempistiche di avvio al trattamento, considerata la tipologia di paziente difficile da trattare.
Con la rimozione delle restrizioni, è stato possibile iniziare a curare pazienti con malattia meno grave e con terapie molto più snelle, veloci, e quindi meno impegnative per medici e pazienti che si è tradotto in un incremento delle persone curate.
“Perciò, in linea teorica, le liste di attesa dovrebbero diminuire progressivamente e in numerose strutture si è già arrivati ad avere liste di attesa molto brevi. D’altra parte non tutte le strutture sono uguali, lungo lo stivale si passa da strutture in grado di erogare 80 terapie al mese a strutture in cui erogano 2-3 terapie al mese” ha precisato Bartoli, aggiungendo: “Sicuramente questi ultimi sono centri più piccoli, a volte anche evitati erroneamente dal paziente che preferisce essere curato in una struttura “più nota” o da uno specifico medico”.
Pertanto, per velocizzare la presa in carico dei pazienti sarebbe necessario organizzare una rete in ogni regione che distribuisca i pazienti in maniera equa.
Oltre alla necessità di una distribuzione ragionata dei pazienti, bisogna fare un’analisi approfondita sui centri per capire ulteriori problemi come la carenza di personale o l’assenza di regole per l’avvio dei pazienti alle strutture autorizzate.
“Il problema si pone poiché esistono centri non autorizzati che ancora oggi, come testimoniato dai pazienti, trattengono i pazienti stessi che restano in attesa per mesi o anni senza fornire la possibilità di scegliere. Ciò accade spesso poiché i medici responsabili delle strutture non autorizzate “sperano” di ricevere l’autorizzazione ad erogare le terapie dei farmaci innovativi” ha sottolineato Bartoli.
E’ necessario un PDTA condiviso dalle varie regioni su alcune attività chiave da effettuare per la presa in carico di tutti i pazienti già diagnosticati, invece oggi, oltre al Veneto, sono rarissime le regioni che stanno elaborando un piano strategico adeguato per una totale eliminazione dell’epatite nel territorio.
“Come associazione”-ha osservato Bartoli- “abbiamo scritto le nostre proposte all’interno dell’ultimo dossier da noi prodotto e divulgato, sulle differenze di accesso regionali, reperibile sul nostro sito www.epac.it “
Popolazioni speciali
Altro problema da analizzare e risolvere sono le “popolazioni speciali” ovvero gruppi di pazienti particolari come detenuti e persone che utilizzano droghe: nelle carceri ai pazienti viene fornita la terapia, ma non esistono dei percorsi standard di presa in carico e cura condivisi, tutto è lasciato all’iniziativa spontanea di alcuni singoli medici.
Ad oggi solo due regioni hanno iniziato dei percorsi che coinvolgono anche le carceri. Negli Istituti penitenziari è importante anche incentivare la diagnosi e semplificare il percorso di inquadramento clinico ad esempio noleggiando dei fibroscan portatili.
“Come Epac abbiamo realizzato un progetto chiamato Enehide, in collaborazione con la SIMSPe (società italiana di medicina e sanità penitenziaria) dentro l’Istituto detentivo di Viterbo all’interno del quale era già operativo un reparto di malattie infettive dedicato. Dopo una serie di incontri, distribuzione di materiale informativo tra i detenuti, tra il personale che vi lavora e tra la polizia penitenziaria, abbiamo raccolto dei questionari da cui sono emersi anche livelli di apprendimento soddisfacenti".
A breve uscirà il report riassuntivo da cui si evincerà che la volontà dei detenuti di sottoporsi al test anti HCV è incrementato dal 50% all’85% nel periodo successivo agli incontri. Fare informazione è dunque l’approccio principale per incentivare lo screening che va ripetuto periodicamente considerata la popolazione a rischio più elevato di infezione e reinfezione.
Anche per quanto riguarda gli utilizzatori di droghe, l’informazione va fatta direttamente sia agli utenti dei SerT (Servizi per le Tossicodipendenze) sia agli operatori, prendendo spunti da modelli operativi che hanno dimostrato di funzionare” ha aggiunto Bartoli.
Linee guida post eliminazione del virus
Eliminata l’infezione da HCV, il paziente non può essere abbandonato e quindi è necessario definire delle regole chiare per la gestione delle persone nel post terapia anche e soprattutto a beneficio del medico di famiglia.
Nei pazienti con fibrosi avanzata o cirrosi, dopo l’eliminazione del virus, il paziente rimane in condizione di rischio per insorgenza di epatocarcinoma ed è quindi necessaria una sorveglianza clinica e strumentale ben definita e ripetuta nel tempo. Tali indicazioni sono per ora contenute nelle linee guida condivise AISF-SIMG (aggiornate nel 2017) che sottolineano come il paziente con fibrosi avanzata o cirrosi vada monitorato ogni 6 mesi.
Analogamente per il paziente meno grave, le linee guida europee e americane consigliano un controllo annuale per i primi due anni, per poi concludere ogni tipo di accertamento se non insorgono più problematiche.
“In virtù di questi controlli, dovrà essere ridefinito la durata dell’esenzione per patologia 016" ha commentato Bartoli "poiché attualmente ha una durata quinquennale e - ad un paziente che elimina in virus- non viene rinnovata, a meno che il rinnovo non sia motivato dallo specialista".
Il rischio è che il paziente potrebbe trovarsi nella condizione di dover pagare esami anche costosi e certamente EpaC cercherà di intervenire presso il Ministero della Salute in merito a questo tema”.
Screening ed emersione del sommerso, cosa facciamo oggi?
Per quanto riguarda lo screening oggi non esiste né un programma nazionale specifico, tantomeno linee guida condivise.
Esistono certamente dei punti fermi, poiché lo screening è raccomandato in una serie di gruppi di persone come ad esempio i sopracitati detenuti e tossicodipendenti, ma anche sex workers, pazienti HIV positivi, ed altri.
Oltre a questi esiste anche una parte della popolazione che per vicende storiche, per localizzazione geografica può essere stata esposta negli anni passati a maggiore rischio.
Tuttavia, studi recenti evidenziano che la maggior parte dei soggetti inconsapevoli è riscontrabile in cittadini sopra i 65 anni mentre, per la popolazione generale, non è chiara la prevalenza che, a noi di EpaC, risulta più bassa di quella ipotizzata.
"In altre parole se davvero si desidera eliminare l’infezione su tutto il territorio, non vi è altra strada che uno screening generalizzato che però comporta dei costi elevati” ha puntualizzato Bartoli
Una decisione non facile che potrebbe essere agevolata effettuando screening localizzati, ad esempio tutti i cittadini afferenti a una provincia o ASL per poi analizzarne i risultati e poter prendere decisioni appropriate.
Fallimento dei nuovi antivirali ad azione diretta
Esistono casi di pazienti in cui il trattamento con antivirali ad azione diretta fallisce. EpaC fa parte di un gruppo di lavoro AIFA che sta elaborando delle linee guida nazionali per il ritrattamento poiché esistono alcune terapie che sono state studiate appositamente anche per i pazienti più difficili da curare.
In conclusione, il piano nazionale di eliminazione sta procedendo in tutto lo stivale italiano anche se ci sono differenze regionali nel numero di trattamenti e dei programmi adottati. Bisogna ancora fare molto sia in termini diagnostici che terapeutici, ma le premesse di inizio di questo anno 2018 sono alquanto soddisfacenti.
Fonte: pharmastar.it